L’approccio corretto dell’ Unconditional Positive Regard
(Redazione)
È risaputo che le persone trovano difficile parlare della propria sessualità o delle proprie pratiche sessuali. Spesso queste difficoltà si riversano nel vissuto quotidiano, a volte portando l’individuo ad intraprendere un percorso di counseling.
Con il termine GSD (Gender Sexual Diversities) intendo tutte le sessualità che si posizionano al di fuori della sfera etero-normativa. Anche se il termine comprende molte sfere sessuali che stanno completando il cammino verso l’integrazione popolare o perlomeno verso un abbattimento dello stigma - come le comunità LGBT (lesbian gay bisexual transgender) - altre rimangono nell’ombra.
Una delle sessualità che, seppur comprendendo una fetta di popolazione eterosessuale, ha trovato spazio in questo cammino di liberazione dallo stigma imposto dall’etero-normatività è il BDSM (Bondage, Domination, Sado, Maso).
Dedicandogli un’intera intervista in Rewriting The Rules, del quale il presente articolo è una personale ed umile interpretazione, il dott. Meg Barker propone una visione incentrata “sulle regole dell’amore, spesso complicate e contraddittorie. Sesso, monogamia, genere, conflitto ed impegno si uniscono ai bisogni individuali di ognuno consentendoci di scegliere le regole che decidiamo di adottare come tali. Rimaniamo ancorati all’abitudine delle vecchie regole che abbiamo imparato – o che ci sono state imposte - crescendo, o proviamo qualcosa di nuovo e rischiamo avventurandoci nell’ignoto?” (Barker, 2014)
Come counselor presso un’agenzia che si occupa di Gender Sexual Diversities (Diversità Sessuali di Genere) mi capita spesso di ascoltare clienti che vivono la propria sessualità in maniera “differente”. Le persone dedite al BDSM che ho avuto modo di conoscere grazie al mio lavoro, hanno spostato la mia attenzione sulle diverse ragioni per cui lo praticano e sulla qualità del loro modo di relazionarsi con il o i loro partner. È ancora diffusa l’idea che chi pratica il BDSM sia diverso, un individuo da diagnosticare, con poca stabilità psicologica o che soffra di qualche disfunzione mentale. Si tratta di un vero atteggiamento di chiusura perché c’è molto da imparare da questa comunità anche a livello di counseling.
Le statistiche rilevano che anche in Italia le persone sono sempre curiose di indagare a fondo la propria sessualità e che oramai la maggioranza della popolazione ammette di avere fantasie sadiche e/o masochiste durante l’attività sessuale. Questo dato trova conferma nel proliferare di sexy shop e nell’impennata delle vendite di oggetti per il BDSM, pratica affrontata esplicitamente e resa popolare dall’autrice londinese E. L. James nella sua recente trilogia Cinquanta Sfumature. E per quanto questa fortunata opera abbia fatto luce sul mondo del BDSM, rimangono una certa ignoranza e diffidenza nei riguardi di questa pratica perché molta gente la ritiene un espediente per svecchiare il rapporto o per conferirgli quella nota di piccante. Così, ancora oggi coloro che praticano il BDSM nudo e crudo vengono derisi, biasimati, censurati, etichettati come “sessualmente deviati” (Baker, 2014).
Infatti il counselor può apprendere moltissimo da coloro che vivono diversamente la propria intimità ed utilizzare queste conoscenze sia nella propria sfera privata, sia durante le sessioni con clienti meno consapevoli. Questo permetterà al counselor di allargare le proprie conoscenze cognitive ed al contempo facilitare lo sviluppo di nuove prospettive nel cliente. Cosa possiamo dunque imparare in quanto counselor, da queste sessioni? Quali sono le caratteristiche di chi pratica il BDSM? Cosa è che fanno diversamente dalla norma? Quali sono le loro implicazioni psicologiche?
Secondo Barker, si presume che la maggior parte di coloro che praticano il BDSM lo faccia perché di fatto questo è composto da pratiche stereotipate. Queste pratiche consistono nel role-play in uniforme (dottore/infermiere, polizia/ladro, professore/alunno), nella punizione verbale e fisica, nella dominazione e sottomissione (dove un partner accetta i comandi dati dall’altro), nell’accettare di essere legati da manette e corde di vario tipo o semplicemente nella stimolazione fisica con vari oggetti, dalle semplici piume a gocce di cera bollente (ibid).
Ma non è solo così. Ciò che colpisce di più durante questi setting è il particolare approccio alla questione sessuale. Il mito comune del maschio dominante e la femmina sottomessa viene infatti sconvolto, nel BDSM, da persone di tutti i generi e di tutte le età. È oramai un’immagine familiare quella della dominatrice che frusta il chirurgo o amministratore delegato di un’azienda. Se guardati con occhio meno critico e denso di pregiudizio, potremmo pensare che l’atto sessuale di questo tipo possa servire come valvola di sfogo a chi pratica professioni così pretenziose. L’atto in sé e reso da una serie di fotogrammi immaginativi che creano in alcuni una sensazione di anticipazione ed in altri di ritardo del piacere.
Alcune persone trovano nel BDSM un modo per rinunciare al controllo e lasciarsi andare, per altre la stessa pratica rappresenta un mezzo per avere tutto sotto controllo. Queste due ragioni possono valere anche per la stessa persona in momenti differenti. Sono attività che possono essere eseguite separatamente o tutte insieme. Il BDSM viene comunque percepito da tutti coloro che ne sono coinvolti come un’attività giocosa e divertente. Può essere un modo di evadere dalla routine quotidiana ed essere qualcun altro immedesimandosi in un ruolo diverso.
Può anche essere una forma di rilassamento oppure una maniera di dimostrare la propria forza o il proprio livello di sopportazione. Con l’esplorazione delle proprie pratiche BDSM in sede di counseling si può portare il singolo all’individuazione e alla conseguente elaborazione di un trauma o di ciò che gli fa paura, come ad esempio un passato atto di bullismo o il dolore fisico. Allo stesso modo può diventare un mezzo per creare intimità con un’altra persona oppure ancora diventare una vera e propria opportunità per essere accuditi e curati (ibid).
Un altro aspetto ignorato dai più è che il BDSM, anche se coinvolge la sfera sessuale, non implica necessariamente l’atto sessuale in sé per sé: il dolore fisico e la penetrazione non rappresentano delle costanti imprescindibili del BDSM. Ciò che crea il BDSM è l’aspettativa ed agisce sulle sensazioni del momento. E sono proprio queste che – a compimento dell’atto – si ricordano al meglio.
Quando decisi di praticare il bunjee jumping e di buttarmi da una torretta di 45 metri legato ad un elastico, ciò che ricordo di più è stata la consapevolezza che stavo per fare qualcosa di incontrollabile, non il rischio che qualcosa sarebbe andato storto bensì l’imprevedibilità dell’esito. Ho dovuto fare un check cognitivo delle mie capacità mentali e fisiche ed immaginare come sarebbe stato bello una volta eseguito il salto, per rimuovere questa sensazione affinché trovassi il coraggio di lanciarmi nel vuoto. Allo stesso modo le persone BDSM, come gli sportivi estremi prendono parte ripetutamente ad attività mentali e fisiche che producono sia la sensazione d’ansia che l’aspettativa del risultato.
Anche se la sfera sessuale viene di fatto investita dalle pratiche di BDSM, non sempre attraverso questa pratica si raggiunge l’orgasmo biologico. A volte questo viene inconsciamente trasferito nella sfera dei processi mentali che avvengono in anticipazione o ad eseguimento della pratica BDSM. Per alcuni si tratta più di sensazioni , di immaginazioni e di trepidazioni che investono tutte o solo alcune sfere dell’individuo. Spesso durante le sessioni di counseling, questi clienti espongono con minuziosa ricchezza di particolari la preparazione all’incontro con il proprio partner BDSM; alcuni paragonano il BDSM ad una forma di arte o la assimilano ad una pratica di tipo meditativa.
Fare counseling alle persone BDSM diventa quindi in primo luogo un esplorazione dei gusti e delle pratiche di questo tipo di clienti. Se si sa di avere a che fare con persone che praticano il BDSM è opportuno informarsi sulle loro pratiche. L’apertura e la curiosità ci permetteranno di mantenere un atteggiamento empatico. In più, è necessario porsi in modo coerente, cioè esplorare con il cliente in sede di assessment i propri limiti professionali, magari tenendo presenti i dati di un counselor specializzato in materia con cui confrontarci o al quale riferire il cliente. È infine necessario – per non perdere di vista gli obiettivi che il cliente intende perseguire – porsi con accettazione positiva incondizionata: uno dei cardini dell’approccio rogersiano al cliente è che il counselor si astiene da qualunque giudizio o valutazione perché nutre e manifesta una totale fiducia nelle capacità di autorealizzazione del suo interlocutore (Carl Rogers, La terapia centrata sul cliente, 1951).
Il counselor nelle sessioni con coloro che praticano il BDSM deve prestare attenzione anche al fatto che l’esplorazione fenomenologica della sessualità trasforma spesso il dolore fisico e ciò che sembra oscuro in una semplice pratica giocosa e soddisfacente al contempo. Sarà quindi necessario approfondire le qualità ed il livello consapevole del rischio di queste pratiche, pesandoli con i benefici attuali e nel lungo termine, esattamente come in ogni disciplina sportiva. Infatti spingere i propri limiti al di là di ciò che è la norma, infonde a chiunque una sensazione di autostima e di sicurezza personale. Lo fanno gli sportivi con il loro corpo e gli spirituali con la loro mente attraverso varie forme di religione o meditazione, perché non lo si dovrebbe poter fare anche attraverso le pratiche sessuali?
Chi si avvicina al BDSM viene introdotto alla pratica e informato sui rischi da chi è più esperto: queste persone sanno quel che fanno, e soprattutto sanno quello che vogliono provare. È quello il loro percorso d’individuazione, la strada da seguire. Non si tratta quindi solamente di oltrepassare limiti personali e frontiere sociali, ma di trovare il benessere in senso olistico della persona, scopo ultimo di chiunque parta alla scoperta o riscoperta di se stesso.