L'orientamento A-sessuale
(di M. Pilia)
Il sesso è parte essenziale della vita di tutti noi e, quando viene praticato, i partecipanti sono coscienti di avere una relazione intima. Sono molte le persone che si rivolgono al counseling per risolvere problemi legati al sesso o alla relazione intima che stanno vivendo. Le loro storie vertono principalmente su come sarebbero dovuti essere i propri rapporti sessuali e il loro obiettivo sembra essere ben preciso: rientrare nella sfera di ciò che è considerato “normale”. La normalità cui ci si riferisce - e questo vale pure per gli eterosessuali - è però una sorta di miraggio in quanto ognuno di noi deve far i conti con se stesso e spesso la norma è definita dalla popolarità di pratiche e attitudini. La domanda sorge spontanea, forse anche nel lettore di Cipazine: e quando non c’è sesso si può definire “relazione intima?” Se un individuo non prova attrazione sessuale è al di fuori della normalità? Se lasciamo da parte coloro che hanno scelto il celibato o l’astinenza dalle pratiche sessuali esistono persone che sono veramente Asessuali? E ancora, può essere considerata relazione sessuale quella con se stessi?
Come counselor integrato specializzato con persone che appartengono alla comunità GSD (Gender Sexual Diversities – Diversità Sessuali di Genere) mi occupo spesso di persone che mettono in discussione la propria sessualità ed anelano alla “normalità”; come pure di persone che benché si sentano nella norma riguardo all’orientamento sessuale poi non lo riflettono nelle proprie pratiche (vedi il maschio che si definisce eterosessuale e comunque ha rapporti con persone trans, oppure il gay, che rifiutando se stesso si dichiara bisessuale e si sforza di avere rapporti con il sesso opposto).
L’orientamento sessuale infatti, al contrario del comportamento sessuale, è ben radicato in un individuo e può essere considerato una costante della propria vita. E quest’ultima è in continua evoluzione. Il miraggio della “normalità” consiste quindi nel delegare alla norma comunitaria il proprio benessere fisico e mentale e, una volta adagiati entro una certa definizione, ci si identifica a tutti i costi, senza però esplorare il proprio orientamento o le proprie attitudini. Questo può creare una situazione di disagio interiore.
La quinta edizione del DSM-5 (Diagnostic & Statistical Manual of Mental Disorder), edito da APA (American Psychiatrists Association) nel maggio del 2013 sembra rivelare nuove norme riguardo al sesso, e direi piuttosto inquietanti a prima vista.
Se da un lato bisogna osservare che tale manuale si è evoluto negli anni come risorsa al fine di garantire limiti professionali e legali per professionisti clinici, ricercatori, assicurazioni e pazienti; dall’altro non si deve dimenticare che queste definizioni della sessualità non costituiscono la vera identità di un individuo. Negli USA infatti, dove il sistema sanitario era privato fino a pochi anni addietro, la transizione da un sesso all’altro ed il conseguente supporto sanitario potevano attuarsi solo se il paziente rientrava in una di queste diagnosi. La corrispondenza ai parametri diagnostici per una certa disfunzione citata nel manuale, permetteva infatti all’assicurazione di stanziare le risorse finanziare necessarie alla transizione ed il conseguente cambiamento dei dati legali e personali dell’individuo ( per esempio il cambio di nome da Patrizia a Patrizio). I parametri per parlare di disfunzione sessuale nel DSM 5 sono i seguenti :
- I sintomi persistono da un minimo di approssimativamente 6 mesi
- I sintomi riflettono un disagio emotivo clinico significativo nell’individuo
- La disfunzione non viene meglio chiarita da un disordine mentale non sessuale o è conseguenza di severi disagi nel relazionarsi o di altri stressors significativi e comunque non è attribuibile a effetti causati da sostanze/medicinali o da altra condizione medica.
Il DSM-5 procede anche con una divisione tra i generi per quanto riguarda le disfunzioni; e secondo questa classificazione gli asessuali sarebbero persone che presentano sintomatologie. Infatti per i maschi si parla di “disfunzione ipoattiva” del desiderio sessuale che consiste in una persistente e ricorrente mancanza o totale assenza di pensieri e di fantasie erotiche del desiderio di attività sessuale. Per le donne invece la diagnosi è “disfunzione da interesse sessuale /desiderio” in cui: l’eccitazione sessuale e/o il piacere durante i rapporti intimi è significativamente ridotta o assente nel 75-100% delle donne (in contesti particolare o, se generalizzato, in tutti i contesti); sono ridotti o assenti l’interesse e l’eccitazione sessuale in risposta a qualsiasi sollecitazione sessuale o erotica, interna o esterna (scritta, verbale o visuale); o ancora, è ridotta o assente la sensibilità genitale durante l’attività sessuale in quasi tutti se non tutti (75-100%) i rapporti intimi (APA, 2103).
Le generalità di questi parametri non sembra comunque in grado di definire con certezza l’appartenenza ad una disfunzione citata nel manuale e lascia ampio spazio ad interpretazione sulla condizione della sfera sessuale di una persona.
Se quindi la sessualità è parte integrante dell’individuo, in un setting di counseling essa va esplorata in stretta relazione al significato che rappresenta per quest’ultimo. In special modo il counselor deve tenere ben presente lo spettro delle sessualità esistenti e portare il cliente a rivisitare la propria individuando significati e limiti all’interno degli orientamenti, delle attitudini e delle pratiche stabilite dalla norma.
Ma può un individuo vivere bene senza sesso? Quali caratteristiche distinguono gli asessuali? In sede di counseling, come possiamo interagire con loro?
Sul sito asexuality.org si legge: “Come umani, siamo esseri sociali programmati a supportarci in seno a unità familiari e comunità e sono queste ultime che stabiliscono le regole di ciò che è considerato normale o accettabile. Specialmente nella società moderna dove i media propongono questo tipo d’ idee in ogni sfaccettatura della nostra vita, fin dalla più tenera infanzia veniamo educati alla vita secondo come dovrebbe essere”(2014). Il risultato è che non c’importa più dei nostri sentimenti più profondi e con tutte le nostre forze tentiamo di aderire alle regole che collettivamente ci siamo imposti.
A seguito del grande successo ottenuto da David Jay che nel 2001 ha fondato l’Asexual Visibility and Education Network (AVEN), il movimento asessuale ha prodotto un film documentario, dal titolo «A-sexual» diretto da A. Tucker e prodotto dalla Art Engine di S. Francisco in cui i vari protagonisti nel riportare la loro esperienza definiscono l’individuo asessuale come una persona che non prova attrazione alcuna (2011).. Le esperienze di queste persone hanno in comune le seguenti caratteristiche:
- Mancanza o riduzione significativa dell’attività sessuale
- Mancanza o riduzione di pensieri o fantasie erotiche o sessuali
- Nessuna o ridotta iniziativa dell’attività sessuale, generalmente non ricettivo all’iniziativa del partner.
Si badi bene che l’Asessualità è una cosa ben distinta sia dall’astinenza sessuale - che consiste nel costringersi a non fare qualcosa che piace - sia dal celibato o dalla castità - che rappresentano lo stato conseguente alla scelta di rinunciare ad alcune o a tutte le attività sessuali e che sono generalmente motivate da fattori religiosi o appartenenti all’universo dei valori personali.
È tuttavia presente una minoranza di individui che si considera asessuale per un periodo di tempo durante il quale si fa domande ed esplora la propria sessualità; solitamente queste persone decidendo in un secondo momento la propria transizione in un’altra sfera del grande spettro delle sessualità. In genere si tratta di giovani; pertanto si potrebbe ipotizzare che siano ancora alla ricerca della propria essenza sessuale.
Proprio come le persone raramente ed inaspettatamente da gay diventano eterosessuali, gli asessuali raramente ed inaspettatamente diventano sessuali o viceversa.
Tengo a sottolineare che l’asessualità è un orientamento sessuale e che la gente non sceglie, lo è e basta. In qualità di counselors dobbiamo inoltre sapere che alcune persone indubbiamente asessuali decidono di cimentarsi in pratiche sessuali per una varietà di ragioni: per esempio per accontentare un partner sessualmente attivo o per il desiderio di avere bambini.
Frasi come “mi dispiace per te, non saprai mai cosa è l’amore”, “Come puoi sapere se sei asessuale se non hai mai fatto sesso?”, “Sei gay o lesbica?”, “ … e solo che non hai ancora trovato quello/a giusto” o “Com’è che sei diventato asessuale” dovrebbero essere bandite dal vocabolario in generale e specialmente da quello dei counselors. Questi atteggiamenti infatti, portano in seno il pregiudizio di chi non è uguale a noi ed inconsciamente discriminano la sessualità altrui .
L’asessualità è come qualsiasi altra identità sessuale e le parole usate sono solo una maniera per meglio descriverla e comprenderla più a fondo; per cui se un cliente in un punto del suo percorso di counseling fa uso della parola asessuale, noi come counselors dovremmo incoraggiarlo ad usarla fino a quando tale parola rifletterà l’effettivo orientamento asessuale.
L’asessualità è stata riconosciuta e presa in esame solo di recente; è un tipo di sessualità che si presenta sotto diversi aspetti, proprio come il lesbismo, l’omosessualità, la transessualità, ecc. e non rende le nostre vite migliori o peggiori. Ogni persona asessuale vive e prova in maniera diversa le proprie relazioni interpersonali intime, l’ attrazione ed il proprio senso del sé. La comunità assessuale è solo all’inizio del percorso di liberazione dal pregiudizio di norma. Come counselors dobbiamo solo essere coscienti che ci sarà un’altra prospettiva di cui tenere conto e problemi diversi nella sfera sessuale rispetto alla maggioranza della gente. Fare il counselor, in conclusione deve significare l’amplificazione del proprio panorama di ricerca, della propria idea e conoscenza dell’umanità. Solo così si potrà cambiare la propria prospettiva, anche rispetto alla sessualità.
Marco Pilia, Counselor, ipnoterapeuta e docente Cipa