Un'opportunità di crescita
(di A. Bialetti)
Il termine “coming out” significa uscire allo scoperto, manifestare il proprio orientamento sessuale davanti ad altri dopo averlo accolto in se stessi accettando pienamente la propria omosessualità nella sfera pubblica e privata. È la tappa del percorso evolutivo in cui l’identità personale, ovvero ciò che si percepisce di essere, e l’identità sociale, ciò che viene percepito all’esterno, arrivano a coincidere completando quel processo di integrazione necessario per un sano ed armonico sviluppo della persona.
Il coming out rappresenta un momento di crescita importante per l’intera famiglia: è il momento della verità, di abbandonare paure, mistificazioni, falsificazioni di sé e stabilire relazioni più autentiche aperte alla progettualità e costruzione di una vita integrata e riconciliata. All’annuncio dell’omosessualità di un figlio o di un genitore tutta la famiglia si “colora di omosessualità” essendo chiamata a ridefinire le proprie posizioni e a trovare nuove strategie di coping davanti alle difficoltà interne ed esterne. L’intera famiglia è mobilitata a svolgere un nuovo compito evolutivo al di là di quello tradizionale di fornire cura e protezione: deve definirsi come famiglia che vive la condizione di omosessualità rispetto ad un mondo esterno che, nella maggior parte dei casi, è portatore di stereotipi e pregiudizi nei confronti di una “differente normalità”. Tutti i membri della famiglia, diventano, in potenza, soggetti alla discriminazione sociale e tale sofferenza agisce - all’interno del contesto familiare - o come collante o come motivo di allontanamento e rifiuto reciproco.
Il coming out è tuttora considerato un evento inatteso nel normale percorso evolutivo della persona. Sono eventi previsti la nascita e la morte, ma non ancora il possedere e manifestare un orientamento sessuale differente da ciò che il canone di “normalità” richiede. La società, infatti, esercita delle forti aspettative di ruolo nei confronti della persona, si attende che vengano adempiuti certi compiti in base all’appartenenza al sesso discriminando ciò che si pone al di fuori di determinati canoni. Davanti a questo evento inatteso la famiglia si trova sprovvista degli strumenti necessari per decodificare e metabolizzare la nuova realtà: prova paura davanti ad una situazione non conosciuta e temuta, sperimenta l’assenza di linee guida e di una cultura adeguata per affrontare la situazione, nutre il timore del rifiuto, dell’isolamento nonché del non essere una buona guida avendo fallito la propria missione educativa.
Se è vero che il coming out rappresenta un evento inatteso e destabilizzante dell’omeostasi familiare, allo stesso tempo può diventare occasione di crescita laddove la crisi venga vista e vissuta, non come un incidente di percorso, quanto come momento costruttivo e ricostruttivo di relazioni che si aprano all’accoglienza e valorizzazione della diversità come ricchezza e risorsa dell’intera vita familiare. La rivelazione dell’omosessualità sia di un figlio che di un genitore, rappresenta indubbiamente un trauma all’interno dell’equilibrio familiare: il genitore si sente provocato visceralmente, toccato nell’affetto più profondo e nel suo ruolo e compito di guida. Nel caso del genitore omosessuale il timore di non rappresentare più una valida guida e punto di riferimento per il figlio o addirittura il rischio di perderlo materialmente ed emotivamente, rappresentano i motivi maggiori per mantenere nascosta una verità scomoda e potenzialmente destabilizzante. Tuttavia, il coming out rappresenta un momento preziosissimo di ridefinizione delle dinamiche e relazioni familiari: ognuno si confronta con il proprio vissuto, con le proprie paure, giudizi e pregiudizi essendo chiamato a sperimentate nuove strategie per ricostituire la relazione e il clima affettivo-emozionale volto allo sviluppo e benessere della famiglia. Il tessuto familiare diventa risorsa: è luogo educativo primario di cui la persona ha bisogno per accogliere se stessa integralmente e continuare a sentirsi amata e sostenuta in un percorso che la porterà alla completa realizzazione e all’inserimento in una società che tuttora vive il problema e il limite della discriminazione e dell’omofobia.
Il coming out si pone, quindi, come processo interattivo, come processo di auto ed etero educazione in cui confrontarsi con il vissuto dell’altro aiuta a rompere quel clima di omertà, menzogna e clandestinità relazionale che condanna l’intera famiglia. Il coming out innesca un percorso di educazione “circolare” in cui ognuno si cala nei panni dell’altro cercando di coglierne il vissuto emotivo e di dare risposta a quel senso di inadeguatezza e svalutazione che separatamente si vive. Il figlio si pone all’ascolto del genitore che vive il senso di colpa e fallimento per aver messo al mondo un “figlio sbagliato”, il genitore accoglie il vissuto del figlio che tenta di vivere integralmente la propria esistenza includendo l’orientamento omoaffettivo e un progetto di vita omosessuale. Entrambi, genitori e figli, si trovano ad elaborare un proprio lutto che trova la sintesi nell’abbandonare i sogni o le aspettative di una presunta “normalità” secondo i canoni socialmente riconosciuti, i progetti di una vita affettiva eterosessuale e di una discendenza “tradizionale” a favore di un progetto di vita che si apra a relazioni omosessuali stabili abitate spesso anche dal desiderio di genitorialità. Il dolore di tale lutto può essere vissuto come condanna ma può anche aprire ad una nuova nascita: il figlio o genitore omosessuale non sarà più considerato un “diverso” in forza del suo differente orientamento sessuale ma solo e semplicemente perché portatore di un vissuto particolare e delicato che va accolto, ascoltato e affrontato in una sorta di coping familiare, di strategia di gruppo in cui le risorse di ciascuno realizzano il benessere di tutti. Il momento della confusione emotiva che la famiglia vive, diventa uno spazio educativo di straordinaria portata ed importanza: si rivedono posizioni, sentimenti, idee, valori, si elabora un dialogo costruttivo non più basato sulla menzogna e nascondimento ma aperto alla chiarezza e all’autenticità verso un amore e accoglienza incondizionata che riesca ad esprimersi al di là di ogni categoria od etichetta. Soprattutto nel caso del genitore omosessuale non è tanto la clandestinità sociale quanto quella comunicativa a mettere a rischio equilibri e alterare relazioni significative. I figli di un genitore omosessuale richiedono chiarezza e trasparenza per elaborare paure, fantasmi, non detti che minano ogni rapporto e poter acquisire strumenti per affrontare la nuova realtà che spesso intuiscono, senza averne conferma diretta, o della quale sono messi a conoscenza da altri generando la rottura della fiducia nei confronti del genitore stesso. Eludere le domande e non offrire un contenitore emotivo per elaborarle, rischia solo di alimentare dubbi e paure amplificando il giudizio negativo e stigmatizzante proveniente dalla società.
Educativamente parlando la famiglia si deve “attrezzare” di validi strumenti pedagogici per far fronte in modo positivo alla nuova situazione di vita e sostenere il figlio o il genitore ad appropriarsi della propria identità omosessuale integrandola nella ricchezza della sua persona, non come tratto caratterizzante, ma come tassello armonico di una personalità completa e realizzata. Strumenti pedagogici per eccellenza sono l’amore concreto e tangibile della famiglia che diventa riconoscimento del valore e della dignità della persona nella sua essenza e in tutte le sue dimensioni; l’educazione alla pazienza accogliendo se stessi pienamente e attutendo il giudizio discriminante proveniente da una società non ancora pronta a valorizzare ogni diversità come ricchezza; il dialogo che connette vissuti ed emozioni in un ascolto empatico capace di immedesimarsi e cogliere il vissuto emotivo dell’altro; l’educazione all’affettività intesa come progetto di vita che potrebbe anche contemplare un legame omosessuale stabile e un desiderio di genitorialità; l’educazione alla resilienza ovvero la capacità di resistere agli urti interni ed esterni senza perdere la fedeltà a se stessi e infine la gestione del minority stress ovvero di quella situazione di stress continuativo micro e macro traumatico dovuto alla continua ostilità esterna.
Come comunità sociale ed educante ci si deve porre il problema del sostegno alla genitorialità e soprattutto alla famiglia che vive una situazione delicata come quella dell’omosessualità. Occorre formare operatori seri e competenti in grado di accogliere il vissuto di tali famiglie in un clima di piena accettazione incondizionata, scevra da giudizi e pregiudizi, per sostenere il nucleo familiare nel delicato cammino di ridefinizione di sé. È un percorso che prende il via, prima di tutto, da un lavoro di autoformazione dell’operatore per distanziarsi da stereotipi e pregiudizi che potrebbe nutrire nei confronti dell’omosessualità e per rappresentare quel territorio accogliente in grado di permettere l’elaborazione del vissuto difficoltoso della famiglia. L’operatore è solo una sorta di agevolatore delle dinamiche familiari in un clima di rispetto dei valori e dell’esperienza esistenziale dei familiari che, sentendosi accolti, generano a loro volta accoglienza, ascolto, rispetto nei confronti del figlio o del genitore omosessuale. Occorre varare politiche sociali di empowerment della famiglia in cui sostenere non è mai sostituirsi ma affiancare i genitori accompagnandoli a sviluppare le proprie potenzialità, ricchezze e peculiarità che permangono anche se bloccate dalla sofferenza. L’operatore è solo un facilitatore delle dinamiche relazionali, il cambiamento è nelle mani della famiglia che può essere accompagnata a sviluppare tutta una serie di strategie operative in grado di generare una crescita armonica e integrale della persona. Inoltre l’operatore si pone come interlocutore e intermediario nei confronti di un contesto sociale ghettizzante e discriminante con lo scopo di attutire l’impatto con l’esterno fornendo gli strumenti perché la famiglia possa diventare, a sua volta, mediatrice di se stessa e del proprio familiare omosessuale in un percorso di integrazione sociale.
Nell’ambito del sostegno alla genitorialità, particolare rilevo è assunto dallo strumento del counseling come relazione d’aiuto che, sorretta dalla fiducia nelle capacità della persona di autodirigersi ed autopromuoversi, permette la riorganizzazione di risorse solo momentaneamente bloccate dalla situazione di difficoltà, in un clima di empatia ed accettazione incondizionata.
In assenza di aiuti sociali ed istituzionali spesso è la famiglia stessa a mettersi in rete per trovare nuove strategie operative e condividere le difficoltà del cammino esistenziale. È il caso di Agedo e Rete Genitori Rainbow che associano rispettivamente i genitori di figli omosessuali e i genitori omosessuali permettendo la condivisione di un percorso e l’assunzione del ruolo di protagonista dell’accoglienza e valorizzazione del familiare omosessuale.
Si è sviluppato il tema della crisi come opportunità di crescita: si ribadisce che il coming out rappresenta un momento educativo e relazionale di estrema importanza ai fini del benessere della persona omosessuale e della sua crescita armonica. Il coming out può essere visto e vissuto come fattore protettivo di crescita in grado di liberare tutte quelle energie tenute bloccate dal clima di omertà, paura ed isolamento verso un’alleanza positiva della famiglia intera che, nella collaborazione, condivisione di vissuti, ascolto delle dinamiche personali ed interpersonali, trova la possibilità di rappresentare il luogo per eccellenza dell’accoglienza completa e incondizionata di se come individui portatori di una diversità che si fa ricchezza per se stessi e per l’intera comunità sociale.
Alessandra Bialetti, Pedagogista Sociale, Consulente della coppia e della Famiglia, Tutor presso Cipa