Una lettura del triangolo di Karpman nei gruppi
(di S. Masci)
Il gruppo è il contenitore all'interno del quale possiamo realizzare i nostri obiettivi. Consapevolmente o meno, ma sempre di obiettivi si tratta. In un gruppo possiamo agire i comportamenti che massimizzano i nostri bisogni: fuggire dalla solitudine, relazionarsi con l'altro sesso (o anche con lo stesso), far carriera, far vedere all'altro quanto siamo bravi, forti, intelligenti, rudi, volitivi, decisionisti, ecc.
Ovviamente, come ci insegna il buon Lewin, il gruppo vuole in cambio qualcosa: sopravvivere. Il gruppo più che un oggetto di analisi è un soggetto che analizza, dotato di una sua volontà, mente, scopo e che, periodicamente, fa il check della situazione e ci dice: "Io ti ho aiutato a farti inserire e a farti sentire amato, ad utilizzare i miei membri per realizzare i tuoi bisogni, ma adesso devi tu permettermi di realizzare i miei. Voglio che tu mi protegga, che parli di me in seconda persona plurale e che, anche nel caso in cui tu abbia deciso di uccidere (da un punto di vista relazionale, professionale) un mio componente, essere certo che tu lo stai facendo per salvaguardare me e tutti noi".
Insomma, mi piace pensare che se potesse parlare, direbbe più o meno questo.
Però le cose non vanno sempre così. I partecipanti di un gruppo sono particelle cariche che generano un campo (di relazioni) in cui ci si attrae e ci si respinge in un moto browniano caotico. E, lo sappiamo bene, nel caos o si perde il controllo, oppure lo si gestisce ad un livello superiore. Pensiamo al gruppo azienda in cui si decide di mettere in mobbing un intero settore, creando scompiglio emotivo, funzionale, professionale, relazionale. Tutti in quel gruppo si muovono impazziti per fuggire o restano bloccati per venire poi travolti. A questo livello c'è il caos tra le particelle/lavoratori e quindi nel gruppo, ma ad un livello superiore questo moto impazzito viene gestito sapientemente e funzionalmente: del resto anche il gruppo azienda ha come obiettivo la sua sopravvivenza (in qualsiasi modo si sia deciso di raggiungerlo).
Altra situazione è quella che nasce all'interno del gruppo in cui si è deciso di mettere in atto giochi transazionali come il triangolo di Karpman. (se lo conosci poco o non ti ricordi leggi in fondo all'articolo)
Qui una o più persone del gruppo hanno deciso di giocare al salvatore per un insieme di motivi tra i più vari. Possiamo trovare il Salvatore Consapevole: Io nella mia vita ho sempre salvato tutti, perché quando ero piccolo…; o anche il Salvatore Altruista: è così bello vedere il sorriso della riconoscenza sul volto dell'altro; il Salvatore Sociale: certo, lo so lo so che quando io avrò bisogno, tu ci sarai…
Ma il tutto non è così nobile. C'è sempre un nucleo problematico sotto che si agita: ora io salvo te, ma sappi che ti chiederò il prezzo per questo, e il nostro salvatore ad un certo punto verrà a casa nostra e ci chiederà ospitalità perché ha deciso di lasciare la famiglia, e se gli farete notare le dimensioni del vostro piccolo monolocale in cui vivete in quattro, lui/lei vi dirà: "lo sapevo che a fare del bene non ci si guadagna niente" e uscirà con la consapevolezza di aver verificato quello che già sapeva fin da piccolo quando...
Un altro motivo che spinge le persone a indossare i panni del salvatore può essere quello dell'effetto spina-nonno (di quando il militare era obbligatorio) che stimola il pensiero poco altruistico: adesso che sono una giovane spina subisco le angherie dei nonni, perché so che tra qualche mese sarò io a malversare i nuovi arrivati.
Ma torniamo al nostro argomento. Quindi il gruppo mi aiuta a muovermi all'interno del triangolo s-v-p, ma come mai, è questa la domanda che ci si pone, questo avviene anche in luoghi in cui le persone dovrebbero essere maggiormente consapevoli di chi sono e di dove si trovano e del perché sono lì come: gruppi di crescita, scuole di counseling o di psicoterapia, conventi, comunità religiose, gruppi di aiuto, ecc.
Proviamo a pensare out of the box – o meglio out of the triangle – e vediamo quali possono essere I guadagni dei giocatori del triangolo di Karpman in funzione del contesto:
- Il ruolo del Salvatorepermette di creare un sottogruppo in cui egli è il capo, e il capo decide le regole e le deroghe ad esse. Ovvero il mio gruppo deve rispettare le regole che io stabilisco, ma può derogare a quelle che impone il gruppo più grande (ufficio, reparto, azienda, scuola…). Chi salva ha, in qualche modo, la leadership, dato che vale il vice versa: ho la leadership, per cui vi salvo. Il salvatore guarda le persone intorno a sé e dice con tono deciso: "Lasciate i più deboli dietro, li verremo a prendere dopo, adesso seguitemi che ho visto un ruscello mentre l'aereo precipitava, lo seguiremo e ci porterà in salvo". Ovviamente, il messaggio che deve passare è che: "…finché giocherete al mio gioco ci sarà protezione e relazioni amorevoli per tutti, ma guai a chi dissente".
- Il capo lo ha chiamato per fargli notare un errore o una mancanza su un lavoro svolto dal suo gruppo e, anziché verificare le argomentazioni del suo superiore e controbatterle con i fatti, la Vittimadecide che: "Adesso basta! Mi sono stufato di questi stronzi che non capiscono nulla di XX (sostituite alle "X" ciò che fa o vende la vostra azienda) e di come trattano i collaboratori più fidati. Io che ho dato tutto me stesso a Y (mettete il nome di una azienda, reparto, gruppo, comunità… o anche un nome proprio). Lo sapevo che non dovevo fidarmi e che non mi avrebbe/ro capito". E così, con questo stato d'animo rientra nella sua stanza in attesa che la sua sfuriata colpisca il bersaglio. Ed ecco che arriva il nostro salvatore per iniziare il balletto drammatico con la sua vittima. "Che cosa è successo, capo? Mi sembri arrabbiatissimo." E lui, dapprima sventola una mano come per dire niente niente, –per poi smettere subito per evitare di essere troppo convincenti– e poi inizia a raccontare: "La solita storia di questo ufficio, dicono che è colpa NOSTRA se le cose vanno male. Ma io vi ho difeso. Io vi ho sempre difeso ed è questa la riconoscenza. MA IO NON CI STO!". Tutto ciò va detto ovviamente con la porta aperta e ad un tono di voce alto –perché il gioco è bello quando si gioca in tanti. E così l'intero gruppo gioca a salvare il capo, il capo gioca a salvare il gruppo, e tutti si passano la palla, vittime e salvatori.
- Il gruppo è solidale. Tutti uniti vicino al nostro salvatore, colui che non manca mai di darci uno strappo quando abbiamo la macchina dal meccanico, di rileggerci la relazione o correggerci gli errori d'ortografia nella nostra tesina per il corso di aggiornamento professionale. Il padre che ci sfama con i fish-burger ma che, ora che ci penso, non ci ha mai insegnato a pescare (o a cucinarli). La mamma dalle grandi tette in cui rifugiarsi perché il mondo è tanto cattivo. Ma… –come in tutti i giochi c'è sempre qualcuno che dice ma… – arriva il momento in cui le tette ci soffocano e gli hamburger ci restano sullo stomaco per troppi giorni. Quando questo succede, allora è arrivato il momento che entri in gioco il Persecutore. Cosa dice? "Come? mi voltate le spalle? Dopo quello che ho fatto per voi! (c'è sempre un primo passaggio nella vittima) Io che vi ho sfamato, difeso, accompagnato a casa… ma ve la farò pagare cara. Non finirà così…". Il persecutore, forte della sua forza morale (del resto è stato un grande salvatore, prima), inizia la sua battaglia il cui scopo non è vincere, ma quello meno nobile di partecipare.
Eh, sì. Perché scopo dei giochi transazionali non è vincere (portare avanti un'idea, discutere su un problema per trovarne la soluzione…) ma ricevere carezze, anche negative. È questa la necessità primaria che muove i nostri giocatori, non sono interessati agli altri, il salvatore si preoccupa solo di se stesso e del suo ruolo, il persecutore non lotta contro i cattivi e potenti e la vittima non è mai una bambina spaurita nel bosco.
Ma ci piace crederlo.
O no?
Il triangolo di Karpman
Il triangolo di Karpman o triangolo drammatico teorizza che nelle relazioni a turno le persone interpretano i tre ruoli di: il Salvatore, il Persecutore e la Vittima. La loro relazione è di reciprocità in quanto la presenza dell'uno implica quella degli altri.
Il Salvatore avverte la necessità di aiutare l'altro, anche se questi non ne ha effettivo bisogno. Egli ritiene che l'altro sia bisognoso del suo aiuto, mentre, invece, è lui che ha bisogno di sentirsi utile perché sono presenti sensi di colpa o insicurezza ed inferiorità. Il Salvatore si preoccupa soltanto di sé e l'aiuto offerto agli altri gli serve per sentirsi accettato e amato.
La Vittima attrae il s. ed è a sua volta attratta da loro. Esercita questa forte attrattiva perché riceve attenzioni esagerate (e spesso inutili), che la fanno sentire aiutata e compresa dal s. Ma sta bene anche con il P. perché criticandola e maltrattandola, la convince sempre di più della sua inferiorità e delle sue insicurezze.
Il Persecutore, è la persona che esprime disperazione e rabbia che lo spingono ad assumere un atteggiamento punitivo e vendicativo nei confronti di tutti. Può essere anche mascherato come nei passivi-aggressivi, ma comunque egli si considera realizzato se riesce a far giustizia, a prescindere dalle richieste e dai bisogni effettivi degli altri, e nasconde gioia e soddisfazione nel perseguitare gli altri dietro i suoi sentimenti di giustizia e di onestà.
Ognuno dei personaggi che assumono i diversi ruoli del triangolo drammatico pensano di agire in funzione del bene dell'altro, ma invece agiscono solo in funzione di ciò che è bene per sé stessi, cosa questa che porta ad incomprensioni e a rapporti patologici. Per ovviare a ciò l'individuo deve prendere consapevolezza del suo comportamento e dei bisogni inespressi sottesi ad esso; per fare ciò egli deve assumere un atteggiamento logico e razionale, al fine di chiedersi il perché dei suoi comportamenti e di quelli degli altri componenti.
Stefano Masci, Direttore Cipa