Se non abbiamo cura di noi stessi,
non possiamo aver cura degli altri.
Gaylin, 1981
(di P. Bonavolontà)
Aiutare l’altro è una scelta, la nostra, da sempre in fondo è quello che abbiamo desiderato fare.
Ma ecco che a un passo dall’avverarsi del nostro desiderio, o nel mentre, invece di sentirci felici, sentiamo tristezza.
Facciamo il lavoro che abbiamo scelto, per cui abbiamo studiato e ci siamo impegnati tanti anni, eppure qualcosa non quadra.
Iniziamo a dubitare di noi, delle nostre capacità, della possibilità di poter veramente aiutare qualcuno.
Cerchiamo di allontanarci emotivamente o fisicamente dal lavoro di cui prima eravamo così convinti.
Cosa ci sta succedendo?
Potrebbe essere un inizio di burnout, dall’inglese: essere bruciati, esauriti, scoppiati.
Sono gli anni 70 quando negli Stati Uniti viene usato questo termine per indicare un rapido decadimento delle risorse psicofisiche e un altrettanto rapido peggioramento delle prestazioni professionali.
Venne riscontrato soprattutto nei lavori a carattere sociale: infermieri, medici, insegnanti, assistenti sociali, poliziotti, operatori di ospedali psichiatrici, operatori per l’infanzia; oggi il burnout si è allargato anche ad altre professioni.
Il burnout - con riferimento all'attività lavorativa - è stato definito nel 1974 da Freudenberger come una condizione di esaurimento fisico ed emotivo, determinata dalla tensione emotiva cronica creata dal contatto e dall'impegno continui ed intensi con le persone, i loro problemi e sofferenze.
In Italia si è iniziato a parlare diffusamente di “BURNOUT SYNDROME”, verso la metà degli anni ’80.
Definizioni di Burnout
Maslach, 1975
- “perdita di interesse nei confronti delle persone con cui si lavora, accompagnata a stress ed insoddisfazione eccessivi”.
- “una sindrome da esaurimento emotivo, da spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti che per professione si occupano della gente”
Pines e Aronson, 1981
Il burnout suscita un sentimento di affaticamento, logoramento, d’impotenza , lo sviluppo di un concetto negativo di sé e del proprio lavoro fino ad arrivare all’esaurimento fisico
Cherniss, 1982
- “ritirata psicologica dal lavoro in risposta ad un eccessivo stress o insoddisfazione”.
- ll burn out rappresenta il tipo di risposta ad una situazione avvertita come intollerabile, in quanto l'operatore percepisce una distanza incolmabile tra la quantità di richieste avanzate dagli utenti e risorse disponibili - sia individuali, sia organizzative - per fornire adeguata risposta alle richieste stesse;da questa percezione negativa scaturisce un senso di impotenza , la convinzione di non poter fare nulla per modificare la situazione, per eliminare l'incongruenza tra quello che il professionista ritiene che l'utente si aspetti da lui e ciò che egli è effettivamente in grado di offrirgli.
Gianni Del Rio, 1990
- “il non farcela più, il malumore e l’irritazione quotidiana, la prostrazione e lo svuotamento, il senso di delusione e di impotenza di molti lavoratori”.
Cary Cherniss, 1983
- “burn-out syndrome” è la risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come intollerabile e nella quale l’individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiarla.
Quali sono i sintomi?
SINTOMI FISICI-SOMATICI (Bernstein - Halaszyn 1989, Cherniss 1983)
- disfunzioni gastrointestinali: gastrite, ulcera, colite, stitichezza, diarrea; disfunzioni a carico del SNC: astenia, cefalea, emicrania; disfunzioni sessuali: impotenza, frigidità, calo del desiderio;
- malattie della pelle: dermatite, eczema, acne, afte, orzaiolo; allergie e asma; insonnia e altri disturbi del sonno; disturbi dell’appetito; componenti psicosomatiche di:artrite, cardiopatia, diabete.
- tensione muscolare, precordialgie e “respiro corto”, raffreddori e influenze frequenti e persistenti
SINTOMI PSICOLOGICI
- depressione, ansia, noia, gelosia, permalosità, sospettosità, diffidenza, sfiducia, ruminazioni ossessive, rabbia, negativismo; isolamento e ritiro, conseguente incapacità a chiedere aiuto;
- rigidità di pensiero; alterazione tono dell’umore – esaurimento emotivo;
- perdita dell’ideale – perdita dell’entusiasmo e di fantasie onnipotenti iniziali in processo di burnout;
- ottundimento della coscienza, essere freddo ed insensibile; collasso della motivazione;
- caduta dell’autostima; perdita di controllo - la sensazione che il lavoro lo “invada” anche nella vita privata.
SEGNI COMPORTAMENTALI-ASPECIFICI (Cherniss 1980)
- cinismo, apatia, cavillosità, alcool e farmaco- dipendenza; sciocco umorismo e ironia di fronte alla sofferenza; assenteismo; “fuga dalla relazione”, apatia, stanchezza;
- progressivo ritiro dalla realtà lavorativa (disinvestimento): presenziare senza intervenire, senza alcuna partecipazione emotiva, e solo per lo stretto necessario; difficoltà a scherzare sul lavoro, irrequietezza; ricorso a misure di controllo o allontanamento nei confronti degli utenti; perdita dell’autocontrollo: reazioni emotive violente, impulsive, verso utenti e/o colleghi; tabagismo e assunzione di sostanze psicoattive: alcool, psicofarmaci, stupefacenti.
FATTORI DI RISCHIO
Secondo Faber e Maslach possono essere ricondotti a tre grandi variabili: organizzative, individuali, sociali.
Il burnout “Può essere nocivo per la nostra salute, per la nostra capacità di affrontare gli eventi e per il nostro stile di vita personale. Può inoltre condurre a un vero e proprio deterioramento nella nostra prestazione lavorativa. Tutti questi costi non coinvolgono noi soltanto, ma vengono pagati da chiunque sia in qualche modo legato a noi, sul lavoro e a casa” [Maslach e Leiter 2000,].
Prima di pagare, far pagare, farci bruciare e bruciare, possiamo fare qualcosa?
La risposta è affermativa, sia a livello individuale, lavorativo e di gruppo ovvero tutti quelli coinvolti nel processo di (eventuale) insorgenza della sindrome.
A livello individuale:
chi lavora nelle professioni di aiuto in genere si confronta necessariamente, ma anche frequentemente con la difficoltà e la conseguente necessità di attribuire un senso agli avvenimenti della vita umana.
Dare un senso a ciò che vede, ciò a cui partecipa, che ascolta, che accade intorno.
Prevenire il burnout, in ogni professione, vuol dire evitare di investire eccessivamente nel lavoro a scapito di relazioni affettive e familiari.
Quando c’è uno sbilanciamento tra energie investite nell'attività quotidiana e il mondo del lavoro, e si aggiunge la mancanza della rete affettiva, manca il rifornimento energetico necessario per affrontare gli stress lavorativi.
È perciò auspicabile la presenza di più interessi extralavorativi, il sostegno familiare e una adeguata rete relazionale interpersonale, specie nei giovani operatori, per i quali è più difficile un equilibrio tra mondo del lavoro e vita privata.
Sono maggiormente a rischio burnout tutti coloro che non hanno un adeguata rete affettiva, giovani spesso lontani dalla loro famiglia, donne nubili, separate o divorziate.
Baiocco et al., scrivono: “il contatto con le continue richieste da parte di chi soffre psicologicamente può diventare particolarmente stressante soprattutto per chi ha difficoltà a tenere sotto controllo il proprio stato emozionale”.
Ecco dunque un altro possibile strumento per prevenire il burnout e in generale per rendere la nostra vita sia lavorativa che non più armonica, ricca: la gestione delle emozioni.
Ricapitoliamo i punti – a favore - emersi fino a questo momento:
più interessi, più relazioni significative, condividere, saper gestire le proprie emozioni.
Cosa possiamo fare come singoli?
- volerci bene e aver cura della nostra salute
- cercare appoggio quando è necessario, dove poter ricevere:migliorare la conoscenza di se, dei propri punti di forza e debolezza, le vulnerabilità
- sostegno emotivo: permette l’espressione di sentimenti ed emozioni rafforza la stima
- sostegno informativo: riduce sentimenti impotenza e vulnerabilità
- sostegno strumentale: aiuta a risolvere problemi permette maggior controllo della situazione
- sostegno di valutazione fatto di feedback: aiuta a valutare le esperienze
- restare aperti al cambiamento, all’apprendimento, alla pratica di ottimismo e iniziative per aumentare il senso di efficacia personale, per rilassarci e ricaricarci
- prendersi tempo per far emergere e soddisfare i propri bisogni di significato e scopo nella vita
- condividere con i colleghi in spazi di parola in cui ci si possa auto-osservare, riflettere, accogliere ed essere accolti
- avere qualcuno che si interessa a noi e appartenere a gruppi dove sia possibile il confronto, condivisione e sostegno reciproco ma anche di amore, cure, stima, apprezzamenti.
Dunque supervisione, crescita personale, spazi di relax ed apprendimento, di ricarica interiore, di acquisizione di nuove competenze.
Un potente strumento in questo’ottica sono i laboratori di counseling ad espressione artistica.
È sorprendente come si possa riuscire a rispondere a molti bisogni incluso il trovare un significato personale, uno spazio di condivisione, il sentirsi efficaci ed abili, ritrovare la propria creatività intesa anche come capacità di generare nuove soluzioni.
Metaforicamente un laboratorio di counseling espressivo significa anche dedicarsi tempo per noi stessi e nella sperimentazione possiamo ricentrarci, ricaricarci, vederci con nuovi occhi. Tra le nostre mani e grazie ad esse, ai nostri sensi possiamo accedere ad un luogo di rinnovamento, a benessere e soddisfazione, fiducia, felicità della condivisione.
L’arte nel counseling è un processo di crescita e di nutrimento intenso, un luogo sicuro e una modalità divertente e potente, accessibile a tutti.
Non esiste giudizio, separazione tra bello o brutto, valutazioni o interpretazioni ma la possibilità di accedere alle nostre risorse, a ciò che ci piace e ci fa bene, di sperimentare nuove forme, colori, suoni e relazioni. Accettando ed amando noi stessi, avendo nutrito noi stessi, possiamo ritornare ad operare nel mondo, lavorativo e relazionale.
“Il processo creativo del fare arte è curativo e migliorativo della vita ed è una forma di comunicazione non verbale di pensieri ed emozioni“
(American Art Therapy Association, 1996)
Paola Bonavolontà,
Counselor Gestaltico e ad indirizzo artistico; artista